Ultimatum agli inglesi
Lettera di Giovanna la Pulzella lanciata con una freccia in campo inglese durante l’assedio di Oriéans: – «Al duca di Bethford (Bedford [N.d.r.]), cosiddetto reggente del regno di Francia e ai suoi luogotenenti di fronte alla città di Orléans, Re d’inghilterra e voi, duca di Bethford, che affermate di essere il reggente del regno di Francia; Guillaume Lapoule conte di Suffort (William Pole,conte di Suffolk [N.d.r.]); Jehan sire di Thalebot (John Talbot [N.d.r.]); e voi Thomas sire di Exalles (lord Thomas Scales [N.d.r.J), consegnate alla Pulzella, inviata quaggiù da Dio, le chiavi di tutte le belle città che avete occupato. Ella è venuta per rivendicare il sangue reale. E pronta a fare la pace, se vorrete darle ragione, restituire le terre di Francia e pagare per il tempo che le avete occupate. E voi arcieri, nobili compagni di guerra, che siete accampati dinnanzi alla città di Orléans, tornate, in nome di Dio, nel vostro paese. Se no, riceverete fra breve notizie della Pulzella, che verrà da voi, con vostro grande danno.Re d’inghilterra, io sono a capo di un esercito e scaccerò gli uomini che avete in Francia, con le buone o con le cattive. Se vorranno ubbidire, ne accetterò la resa a discrezione. Se non vorranno, li sterminerò. il cielo mi ha mandato per scacciarvi dalla Francia. Toglietevi dalla testa di conservare questo regno, che è stato destinato da Dio a Carlo, vero erede. Così vuole Dio, che lo ha rivelato alla Pulzella.
Se non credete a quanto Dio vi manda a dire per bocca della Pulzella, e se non vorrete intendere ragione, noi verremo a cercarvi e faremo una tale strage, come in Francia non ne è avvenuta una da mille anni a questa parte. Duca di Bethford, la Pulzella vi chiede di non farvi distruggere.
Se avete intenzione di concludere la pace, fa temi avere una risposta. Se non accettate, non posso che rammentarvi i grandi pericoli cui andate incontro.
Scritta il martedì della settimana santa.
Giovanna La Pulzella»
Sotto processo
Il processo si inizia il 21febbraio 1431. L’ordinanza solenne di apertura è letta dal vescovo di Beauvais, Pierre Cauchon, designato giudice dal Grande Inquisitore di Francia e grande mattatore del processo. Nella leggenda di Giovanna d’Arco, Cauchon è una specie di genio del male: la verità è che si tratta di un grand commis del partito anglo-borgognone, incaricato di una missione essenzialmente politica. Il giudice istruttore, Jean de la Fontaine, è un onest’uomo che abbandonerà precipitosamente Rouen dopo poche settimane.
L ‘ala del castello di Chinon con la sala dove avvenne l’incontro tra Giovanna e il delfino: i due si appartarono per un paio d’ore.
L’accusa è sostenuta dal canonico Jean d’Estivet, detto ironicamente ‘Benedicite’, per la trivialità del suo linguaggio.Non c’è avvocato difensore. La giuria è composta da 113 persone fra dottori della Sorbona, canonici del Capitolo di Rouen, abati di Normandia, avvocati del Consiglio ecclesiastico e giurati minori, ma — di fatto — solo una settantina parteciperanno attivamente a tutto il processo.
Pagina di un registro del parlamento di Parigi relativa alla seduta dei 10 maggio 1429; al margine, uno schizzo rappresentante la Pulzella: è l’unico ritratto d’epoca dell’eroina.
Alcuni si presteranno anche agli intrighi di Cauchon, come Jean Beaupère, Nicolas Midi, Thomas de Courcelles e l’infame Nicolas Loiseleur, che arriverà sino a fingersi prigioniero dell’Inquisizione, per spiare Giovanna in cella. Soltanto tre persone manifesteranno umana solidarietà per Giovanna: due giovani domenicani, Martin Ladvenu e Ysambard de la Pierre, e l’usciere Jean Massieu, anche lui prete.
Tre notai — sempre preti — sono incaricati di verbalizzare l’intero processo. Il testo francese sarà poi tradotto in latino dal protonotaio Guillaume Manchon e quindi riveduto e corretto dallo stesso Cauchon, quattro o cinque anni più tardi.
Giovanna d’Arco cosi come viene raffigurata nell’iconografia tradizionale: con l’armatura, la spada e lo stendardo.
Il giudizio si svolge per fasi. La prima è il cosiddetto ‘processo di ufficio’, cioè istruttorio, che dura dal 21 febbraio al 18 marzo, con sei udienze pubbliche e sei interrogatori ‘supplementari’, cioè a porte chiuse nella cella di Giovanna.
Gli inglesi vogliono una condanna per eresia e stregoneria che distrugga con il marchio dell’Inquisizione il mito della Pulzella e la consegni al braccio secolare per l’estremo supplizio.
Prima di ogni interrogatorio, si chiede a Giovanna di giurare sul Vangelo di rispondere a tutte le domande. È una battaglia quotidiana perché la Pulzella si riserva di tacere sulle cose che le sue ‘voci’ le hanno ingiunto di non rivelare ad anima viva.
Giovanna è interrogata sulla fede, ma anche su una serie di punti specifici che si spera possano portare acqua al mulino dell’accusa, come le feste attorno all’albero delle fate, le profezie, i combattimenti in giorni di festa, la scoperta della spada a Fierbois, e il cosiddetto ‘miracolo di Lagny’ (quando ha ‘risuscitato’, per alcuni minuti, un bambino, probabilmente asfittico). Alcuni punti vengono richiamati in continuazione: sono, soprattutto, il ‘segno’ rivelato al delfino, le ‘voci’ e gli abiti maschili.
Sul ‘segno’, Giovanna non dirà mai parola. «Transeatis ultra», cioè «Passate oltre», è la risposta sprezzante che appare nella trascrizione latina dei verbali, di fronte ad ogni insistenza in proposito.
È invece assai loquace, forse anche troppo, sulle ‘voci’. Sin dalla seconda udienza pubblica, Giovanna rivela che appartengono a San Michele Arcangelo, qualche volta accompagnato da San Gabriele, e a due Beate, le sante Caterina e Margherita. Giovanna afferma di aver avuto la prima rivelazione all’età di tre anni, un giorno di mezza estate, mentre paseggiava in giardino. Prima ha fatto la sua apparizione San Michele, poi sono entrate in scena le due Beate. Giovanna le ha viste in carne ossa, con un’aureola attorno al capo: le ha toccate e abbracciate, e ne ha anche potuto sentir il profumo celestiale.
L ‘albero genealogico di Giovanna d’Arco
Circa i vestiti da uomo, infine, Giovanna afferma di aver seguito gli ordini delle voci. La verità è che si era trattato di una scelta obbligata durante la vita promiscua delle campagne d’armi, mentre a Rouen gli indumenti maschili rappresentano il solo, fragile baluardo contro una violenza carnale che consentirebbe di riesumare l’accusa di commercio con il demonio. Non a caso la verginità di Giovanna viene nuovamente verificata da un paio di levatrici, con la supervisione della moglie del reggente, Anna di Bedford. Si ripete insomma l’iter di Poitiers. Ma quegli abiti maschili, che a Poitiers erano stati considerati come punto di scarsa importanza, a Rouen diventano il simbolo del rifiuto di Giovanna al proprio stato naturale, in ribellione contro gli insegnamenti della Chiesa.
Immagini dell’assedio di Orléans: la Pulzella giunge sotto le mura della città il 29 aprile 1429; una settimana dopo, a conclusione di un ultimo travolgente attacco, gli inglesi vengono sconfitti e sono costretti a ritirarsi.
Gli interrogatori sono pieni di domande sottili, di insinuazioni, di trabocchetti nascosti. Ma Giovanna ribatte con una prontezza, un’acutezza e un’ironia che vanno ben al di là degli orizzonti culturali di una semplice ‘pastorella’. È vero che afferma di essere sempre in stato di grazia? «Se non ci sono, che Dio mi ci ponga; se ci sono, che mi ci mantenga».
Dio odia gli inglesi? «Io non so se Dio odia o ama gli inglesi. So solo che saranno cacciati dal regno di Francia».
L’Arcangelo era nudo? «Volete che Dio onnipotente non abbia di che vestire un Santo?». La seconda fase del giudizio, il cosiddetto ‘procedimento ordinario’, si apre il 26 marzo.
Alla fine del contraddittorio, Nicolas Midi riassume le accuse in dodici punti:
1) le apparizioni in carne e ossa delle due Beate;
2) il ‘segno’ segreto fornito al delfino;
3) le rivelazioni’ delle ‘voci’;
4) le profezie; 5) gli abiti maschili;
6) la firma delle lettere con i nomi di Gesù e Maria, e una croce;
7) la partenza per Vaucouleurs senza l’autorizzazione paterna;
8) il tentativo di fuga da Beaurevoir;
9) la certezza di andare in Paradiso;
10) la pretesa di essere ispirata;
11) la venerazione per le ‘voci’;
12) il rifiuto di sottomettersi alla Chiesa.
Giovanna entra trionfante a Orléans
Nicolas Midi viene inviato a Parigi da Cauchon, per sollecitare un parere dei dottori della Sorbona sulle dodici accuse.
La Pulzella si reca al castello di Loches per dare al delfino la notizia della vittoria.
Il rogo di Rouen
Giovanna, intanto, langue in carcere. A dispetto del diritto canonico, infatti, non è stata trasferita nelle carceri dell’Inquisizione ma è rimasta in mano inglese, in una cella malsana, con i ferri ai piedi, angariata dai secondini. Il 18 aprile, comincia la serie delle ‘benevole ammonizioni’ di Cauchon, per indurla a rinunciare ai suoi errori.
«Noi vi ingiungiamo, vi esortiamo, vi chiediamo di accettare i consigli che vi sono stati dati per la salvezza della vostra anima. Volete sottomettervi alla Chiesa militante per i vostri detti e i vostri atti?».
Ma Giovanna non cede. Il problema della Chiesa militante è un nodo vitale. La Pulzella, infatti, si dichiara sottomessa solo alla Chiesa trionfante, cioè a Dio, agli angeli e ai santi, mentre rifiuta obbedienza alla Chiesa militante o terrena, cioè al papa, ai cardinali e ai vescovi. «Io onoro e riverisco la Chiesa militante — dice Giovanna — ma Dio viene prima, e a lui mi rimetto come giudice». «Responsio superba», si legge in margine al verbale: è un commento di Cauchon?
Ritiratisi da Orléans, gli inglesi vengono incalzati dai francesi che li sconfiggono a Jargeau, Meung, Beaugency e Patay: a quest’ultima battaglia si riferisce il dipinto qui riprodotto.
Il 9 maggio, Giovanna è portata dinnanzi agli strumenti di tortura, con i boia immobili che attendono soltanto un ordine. Ma Cauchon soprassiede, ritenendo che il supplizio «non sarebbe di alcuna utilità vista la durezza d’anima dell’imputata».
A Parigi, intanto, la Sorbona sta studiando le dodici accuse e il 14 maggio la facoltà di teologia fornisce le sue conclusioni. Eccole:
1) Le apparizioni: superstizione, commercio col Maligno.
2) Il ‘segno’: bugia impudente.
3) Le ‘voci’: presunzione temeraria.
4) Le profezie: superstizione, millanteria.
5) Gli abiti da uomo: prevaricazione della legge divina.
6) La firma delle lettere: bestemmia.
7) La partenza per Vaucouleurs: empietà verso i genitori, scandalo.
8) Il tentativo di fuga: indulgenza al suicidio, errore in materia di libero arbitrio.
9) La fiducia nella salvézza: presunzione, errore di fede.
10) L’ispirazione divina: bestemmia.
11) La venerazione per le ‘voci’: idolatria, invocazione del Maligno.
12) Il rifiuto di sottomettersi: apostasia, errore di fede.
L’Università di Parigi, al completo, avalla. Adesso bisogna ammonire solennemente Giovanna ancora una volta, poi potrà essere condannata come eretica e abbandonata alla giustizia secolare. L’estremo ammonimento avviene giovedì 24 maggio, nel cimitero dell’abbazia di Saint-Ouen. «Mi rimetto al giudizio di Dio», dice di nuovo Giovanna. Ma aggiunge:
«… e a quello del Santo Padre». La mossa è abile. Giovanna evita di negare la giurisdizione della Chiesa militante, ma tenta di sottrarsi ancora alla corte di Rouen. Cauchon però taglia corto e per tre volte solennemente invita Giovanna ad abiurare hic et nunc, sul posto, a tutti i suoi errori.
La Pulzella, prendendo tutti di contropiede, accetta. È un altro dei misteri di questa vicenda. Giovanna non è per nulla un’invasata, ansiosa di martirio, ma è anche decisa a non cedere. Perché dunque, d’un tratto, abiura? La risposta al mistero risiede, forse, nel testo della rinuncia. Tutti i testimoni oculari riferiscono che la formula dell’abiura, letta a Giovanna e da lei firmata con un cerchio e una croce, è lunga una decina di righe. Si tratta dunque di un documento di compromesso che formalizza in termini generici la sottomissione di Giovanna a Santa Madre Chiesa.
Il testo dell’abiura che ci è pervenuto, invece, è molto lungo: contiene la confessione dettagliata di una serie di peccati, una dichiarazione di pentimento e la promessa di non cadere più in errore.
È stata operata una sostituzione sul posto, con un abile gioco di bussolotti, oppure è intervenuta una falsificazione successiva? L’abiura provoca la pronuncia di una sentenza cosiddetta ‘mitigata’, che annulla la scomunica e condanna la Pulzella alla prigione perpetua, «con il pane del dolore e l’acqua dell’angoscia». Gli inglesi, presenti alla cerimonia, danno segni di irritazione ma si tranquillizzano un po’ quando Cauchon — contravvenendo ancora una volta alla procedura — dispone che Giovanna sia ricondotta al castello di Bòuvreil. La Pulzella torna così nella sua cella e accetta di indossare un abito da donna, in segno di sottomissione. Ma la mattina di lunedì 28, quando Cauchon si reca a trovarla, è di nuovo vestita da uomo.
Che cosa è successo? Le ipotesi sono tre. Secondo la prima Giovanna, dopo un attimo di debolezza, avrebbe ritrovato la forza per spingersi sino al martirio, piuttosto che rinunciare all’ispirazione divina.
La seconda ipotesi è che ella si sia resa conto della trappola in cui era caduta: aveva creduto di firmare un armistizio con i suoi nemici, invece si era trattato di una resa incondizionata che non le lasciava più alcuno spazio di manovra. A questo punto, riscattare la propria immagine e affrontare il martirio era l’unica strada che le rimaneva.
Secondo la terza ipotesi, infine, gli inglesi le avrebbero sottratto gli abiti femminili per costringerla a violare la promessa di sottomissione e invalidarne l’abiura.
Certo è che questo gesto, forzato o frutto di ripensamento, offre a Cauchon lo spunto per una riapertura del processo. La cosiddetta ‘causa per recidiva’ si apre martedì 29 maggio nella cappella arcivescovile.
Bastano pochi minuti per il voto dei quarantatré giurati. Giovanna, «ricaduta nei suoi errori, malgrado l’abiura» viene dichiarata — all’unanimità — «recidiva scomunicata ed eretica». La consegna al braccio secolare per il supplizio è fissata per l’indomani.
Il 17 luglio 1429 il delfino viene incoronato re nella cattedrale di Reims, con il nome di Carlo VII.
La mattina di mercoledi 30 maggio 1431, Giovanna è svegliata di buon’ora. Malgrado la scomunica, le viene concesso di comunicarsi, poi è fatta salire su una carretta, accompagnata dai due giovani domenicani Ladvenu e la Pierre. Centoventi soldati inglesi — precauzione contro un possibile colpo di mano? — fanno da scorta. Sulla piazza del Mercato Vecchio sorgono tre tribune: una per la Chiesa, una per le autorità di Rouen e una per Giovanna. Più in là s’intravede il luogo del supplizio: un piedistallo di gesso con un palo, e attorno una catasta di fascine. Sul palo c’è un cartello con la scritta: «Giovanna detta la Pulzella, bugiarda, perniciosa, sobillatrice del popolo, strega, bestemmiatrice, cattiva credente, idolatra, millantatrice…».
L’ultima omelìa è affidata a Nicolas Midi che, per oltre un’ora, si dilunga a illustrare un passo della I Epistola di San Paolo ai Corinzi, mentre Giovanna geme e si lamenta. Poi è la volta di Cauchon che, rapidamente, la dichiara «espulsa dall’ambito della Chiesa» e abbandonata al potere secolare.
È il segnale. Mentre i prelati lasciano il palco (Ecclesia abhorret a sanguine), due soldati inglesi afferrano Giovanna e la trascinano verso il rogo. Non c’è neanche il tempo per la pronuncia della condanna da parte delle autorità secolari.
La condannata, con in capo una specie di ‘berretto d’asino’, è legata al palo, molto in alto perché tutti possano vederla. Poi il boia dà fuoco alle fascine. Giovanna stringe al petto una rozza croce che le è stata data all’ultimo momento. Contro l’usanza, non è stata imbavagliata e la folla può sentirla pregare e invocare le sue sante.
Le fiamme sono già alte quando il domenicano Ladvenu, che è salito con lei sul piedistallo, viene obbligato a scendere. Giovanna comincia a tossire: sono i primi sintomi del soffocamento. Rapidamente il corpo è avvolto dalle fiamme. Un ultimo grido: «Gesù!».
Il fuoco viene allora rallentato, per mostrare alla gente il corpo della suppliziata. «Giovanna apparve morta — riferirà più tardi un testimone — e tutta bruciata. Fu vista completamente nuda, senza riguardo per i segreti della donna. E questo fu fatto per togliere al popolo qualsiasi dubbio». Poi, il boia ravviva ancora le fiamme, per ridurre il corpo in cenere. I resti — cenere e alcuni organi (fra cui il cuore) solo parzialmente carbonizzati — saranno gettati nella Senna senza alcuna cerimonia.
«Siamo dannati, abbiamo bruciato una Santa!» avrebbe gridato un soldato inglese di fronte allo scempio. Ma forse è solo una pia leggenda.
Dopo Reims, Carlo è favorevole a una sospensione delle ostilità che consenta l’apertura di trattative con il duca di Borgogna, ma la Pulzella non intende dar tregua agli inglesi e si scontra di nuovo con loro alla porta di SaintHonoré, dove viene ferita da un colpo di balestra.
Abbandonata al braccio secolare
La mattina del 30 maggio 7431, sulla piazza del Mercato Vecchio di Rouen, Pierre Cauchon, vescovo di Beauvais, consegna Giovanna al braccio secolare per l’estremo supplizio:
«In nomine Domini. Amen.
Ogni qualvolta l’eresia in fetta del suo morbo pestilenziale un membro della Chiesa, trasformandolo in membro di Satana, occorre con fervido zelo impedire che il pernicioso contagio si diffonda nelle altre parti del Corpo Mistico di Cristo. Le istituzioni dei Santi Padri hanno prescritto di separare gli eretici inveterati dalla schiera dei giusti, per non lasciar germinare nel seno della nostra pia Madre Chiesa questo veleno di vipera. Cum itaque Nos Petrus… Ciò è cagione che noi Pierre, per misericordia divina vescovo di Beauvais ti dichiariamo Giovanna, comunemente detta la Pulzella, scismatica, idolatra, invocatrice di diavoli et coetera.Atteso tuttavia che la Chiesa non respinge mai coloro che mostrano di voler rientrare nel suo grembo, noi avevamo creduto che tu sinceramente ti fossi ravveduta dei tuoi errori e dei tuoi misfatti; atteso tuttavia che, a istigazione dell’autore di ogni scisma ed eresia, tu sei ritornata sui tuoi errori, non dissimile dal cane che ritorna sul suo vomito; atteso che abbiamo potuto riconoscere Il carattere superficiale della tua ritrattazione; per i suddetti motivi noi ti dichiariamo di nuovo passibile della scomunica in cui eri incorsa, ricaduta nei tuoi errori, ed eretica.
Con questa sentenza noi dichiariamo che devi essere respinta dall’unità della Chiesa, come un membro cancrenoso, per non infettare gli altri membri, rescissa dal suo corpo e abbandonata al braccio secolare. Noi supplichiamo il braccio secolare di moderare nei tuoi confronti il suo giudizio, al di qua della morte e della mutilazione delle membra, e laddove appaiano in te segni di vero pentimento, di somministrarti il Sacramento della Penitenza».
Ormai, conquistato il trono, Carlo VII ha raggiunto il suo scopo. Considera quindi conclusa l”operazione pastorella’ e a mo’ di benservito conferisce una patente di nobiltà alla famiglia d’Arc.
La firma di Giovanna in calce a una lettera scritta a Sully-sur-L’Oire dove si incontra con il re che inutilmente tenta di farla desistere dal suo proposito di continuare a combattere.
Monda da ogni macchia d’infamia
Il comportamento di Carlo VII durante il processo di Rouen ha dato origine a molte critiche. Per Giovanna non c’è stata alcuna offerta di riscatto, né alcuna iniziativa diplomatica, e neanche alcuna pressione sulla Chiesa.
La prima azione di Carlo VII a favore di colei che lo ha fatto re è l’incarico affidato a Guillaume de Bouille, nel 1450, di aprire un’indagine civile sul processo di Rouen. Due anni dopo comincia un’inchiesta ecclesiastica ma ci vorranno ancora tre anni e mezzo prima che abbia inizio il processo ufficiale di riabilitazione.
Quasi tutti i protagonisti del dramma di Rouen sono scomparsi. Morti in maniera repentina Luxembourg e Warwick; morto pazzò Winchester; annegato in un canale di scolo Benedicite; finito lebbroso Nicolas Midi; deceduto in modo misterioso Loiseleur. Cauchon è morto mentre si faceva la barba, per un colpo apoplettico, oppure per un colpo di rasoio, non si sa bene.
Sono invece ancora in vita molti testimoni minori. Nel corso del processo di riabilitazione — che si apre ufficialmente nel 1455 — ne saranno ascoltati più di cento. La sentenza viene pronunciata a Rouen il 7 luglio 1456, dopo un accurato vaglio dei verbali del processo precedente che mette in evidenza una dozzina di irregolarità procedurali ed errori in materia di fede e di diritto.
Gli atti del processo del 1431 vengono «annullati, cassati, annientati e svuotati di ogni forza», mentre la Pulzella è dichiarata «libera e monda da ogni macchia d’infamia». L’imbarazzante ‘affare’ è finito. Carlo VII e la Chiesa — che a suo tempo non hanno fatto nulla per impedire il crimine — hanno ormai raddrizzato ogni torto e possono archiviare la pratica. È un’archiviazione che durerà parecchi secoli. Giovanna sarà riesumata — in funzione antinglese — solo da Napoleone Bonaparte nel 1803, ma occorrerà attendere la sconfitta del 1871 nella guerra franco-prussiana, e l’occupazione di parte della Lorena, prima di vederla definitivamente assurta (adesso in funzione antitedesca) a simbolo dell’eroismo francese.
Lo stesso avviene per la Chiesa. La prima richiesta di beatificazione partirà dal vescovo di Orléans, monsignor Dupanloup, nel 1869, ma sarà respinta per ben due volte dalla Congregazione dei Riti. Il dossier sarà riesumato solo alla fine del secolo, per tentare un aggancio fra l’alto clero e le masse popolari su un tema patriottico.
Il 23 maggio 1430 in uno scontro con il duca di Borgogna, alleato degli inglesi, la Pulzella viene fatta prigioniera a Compiègne
Dichiarata venerabile nel 1900, Giovanna sarà beatificata nel 1909, ma si dovrà attendere sino al 1920 per la canonizzazione.
Giovanna la Pulzella diventa così Santa Giovanna. È un omaggio, sia pure tardivo all’ispirazione divina della sua missione, ma anche un baratto politico più terra terra. Una santa guerriera contro la ripresa delle relazioni diplomatiche, fra Parigi e la Santa Sede, interrotte dal 1905.
Dall’oscurità alla gloria, dal martirio all’apoteosi, dall’oblio agli altari. Il cerchio sembra chiuso. Sta invece per aprirsi quello che uno storico ha definito il quinto processo di Giovanna d’Arco.
Finestra della cella di Giovanna nella torre di Rouen.
Giovanna principessa reale?
Il 15 ottobre 1932, sul giornale Le Mercure de France, appare il primo di una serie di articoli destinati a mettere a soqquadro il mondo dei medievalisti. Riesumando un’ardita ipotesi avanzata oltre un secolo prima, si afferma che Giovanna è il frutto degli amori di Luigi d’Orléans con sua cognata, la regina Isabella. Giovanna sarebbe quindi per un lato sorellastra del delfino, e per l’altro di Carlo di Lorena; ma anche cugina del duca di Borgogna, cognata del re d’Inghilterra, bisnipote d’acquisto di Jolanda di Napoli, e imparentata con tutta la più bella nobiltà di Francia.
Gli articoli, cui fa seguito un ponderoso volume dal titolo Le Secret de Jeanne d’Arc, danno l’avvio a frenetiche indagini e a una durissima polemica fra storici tradizionalisti e regalisti. Ecco la versione regalista. Il10 novembre 1407 la regina Isabella partorisce nella sua residenza privata (dove si è trasferita per vivere più liberamente la sua tresca col fratello del re). Il neonato vive soltanto poche ore. Il parto è avvenuto in forma quasi clandestina, e non c’è concordanza fra i cronisti sul sesso e sul nome del neonato. La maggior parte parla di un bambino di nome Filippo, altri invece di una bambina di nome Giovanna.
I regalisti affermano che alla bambina è stato sostituito il cadaverino di un altro neonato, oppure che si è trattato di un parto gemellare con un bambino nato asfittico e una bambina fatta sparire rapidamente. Obiettivo: soffocare lo scandalo della presenza a Corte di un frutto degli amori adulterini della regina.
La piccola Giovanna sarebbe stata affidata a una dama di compagnia, proveniente da una famiglia lorenese di piccola nobiltà decaduta, i d’Arc. La presenza a Corte di questa dama — che si chiama anch’essa Giovanna — è effettivamente suggerita da alcuni documenti.
La Pulzella in catene
La partenza non può avvenire subito perché la Francia è stretta in una morsa di gelo. Esattamente tredici giorni dopo, però, sopravviene una tragedia che rende improrogabile la fuga. Al termine di un ‘gioioso banchetto’ insieme con l’amante, Luigi d’Orléans viene attirato in una trappola, organizzata dal duca di Borgogna, e ucciso a colpi di pugnale e mazza ferrata. Isabella, terrorizzata, torna nella residenza reale con i figli. Giovanna, invece, deve essere portata via al più presto, e il più lontano possibile. Il viaggio si svolge verso la fine dell’anno e si conclude felicemente con l’arrivo a Domremy la notte dell’Epifania del 1408, che sarà poi assunta a genetliaco della Pulzella.
A tredici anni, Giovanna ode per la prima volta le ‘voci’. Cosa sono le ‘voci’? Per i tradizionalisti cattolici, messaggi divini: per quelli laici, allucinazioni isteriche o mistificazione. Per la scuola regalista, invece, si sarebbe trattato di esseri in carne e ossa, poi idealizzati come messaggeri celesti per motivi di segretezza. Grandi organizzatrici dell’operazione sarebbero state Jolanda di Napoli e Colette de Corbie, madre generale della Clarisse, branca femminile dei Terziari francescani. L’intervento dell’Ordine di San Francesco in appoggio al delfino è un punto storico importante. Non c’è dubbio che, al di là delle controversie teologiche, lo scontro di quegli anni fra francescani e domenicani ha anche radici politiche che nascono dalla contrapposizione fra l’orientamento popolare dei frati mendicanti e quello intellettual-borghese dei frati predicatori.
Perseguitati in Inghilterra, i francescani si schierano con i Valois, mentre i domenicani, attraverso la loro roccaforte della Sorbona, parteggiano per i Lancaster. L’interesse di Colette de Corbie e della regina Jolanda per la principessina nascosta a Domremy daterebbe dall’esclusione del delfino alla successione.
Ma torniamo alle ‘voci’. Chi sono San Michele, San Gabriele, Santa Caterina e Santa Margherita? Potrebbero essere semplicemente i nomi dei messaggeri inviati da un Ordine in cui l’appellativo ‘Santo’ e ‘Santa’ era in quel tempo assai spesso usato al posto di ‘Fratello’ e ‘Sorella’.
Al primo incontro con ‘San Michele’, seguono molti altri contatti con quelli che Giovanna chiama talvolta i suoi ‘consiglieri’. E ciò potrebbe spiegare il ‘miracolo’ dell’educazione della Pulzella: una ‘pastorella’ che d’un tratto si rivela esperta degli usi di Corte, cavallerizza provetta, abile nel maneggio delle armi, sicura nell’impiego della lingua francese e certamente dotata di una notevole cultura, anche se forse poco abile a tener la penna in mano.
L”operazione pastorella’ viene decisa nel 1428, quando l’assedio di Orléans rischia di provocare la sconfitta del delfino.
Va sottolineato che l’ipotesi regalista risolverebbe molti punti bizzarri nella vita pubblica della Pulzella. Per esempio la scorta d’onore concessale a Vaucouleurs; il segno fornitoal delfino (probabilmente l’anello di Luigi d’Orléans, consegnatole da ‘San Michele’ come prova della sua identità); la deferenza generale («Nobile dama» e «Gentile principessa» sono gli appellativi più frequenti); la familiarità con i membri della casa di Valois e la strabiliante docilità con cui capitani e feudatari accettano la sua presenza alla testa dell’armata; la presenza di simboli francescani sia sul suo stendardo (le parole Gesù e Maria abbreviate in IHS e MA con tre croci) sia sulla bandiera (la colomba e il motto «Per ordine del Re del Cielo»); e soprattutto il blasone e l’attaccamento alla casa di Orléans.
Nel blasone compaiono una spada con cinque croci che trapassa una corona, e due gigli d’oro di Francia. Molti si sono chiesti il perché di uno stemma gentilizio, anziché uno ‘figurato’ (cioè di fantasia) come usava a quel tempo per le patenti di nobiltà ai borghesi. E perché proprio due simboli reali, come i gigli d’oro e la corona? La risposta starebbe nell’uso della spada come terzo giglio ‘mascherato’ (cosiddetta brisure araldica, simbolo di batardise), e nell’inserimento della corona all’interno del blasone, che starebbe a significare un’origine regale coperta da segreto.
Poi c’è l’attaccamento di Giovanna alla casa di Orléans. Non solo l’affetto per il fratellastro Dunois, ma soprattutto la devozione per il capo famiglia, Carlo, prigioniero degli inglesi. Carlo non è un personaggio di rilievo: non gioca alcun ruolo dinastico e non è un grande capitano. È solo un signore raffinato che passa il tempo della sua dorata cattività scrivendo madrigali galanti mentre la sua patria è messa a ferro e fuoco.
Perché allora la Pulzella avrebbe dovuto ricevere «più rivelazioni sul suo conto che su ogni altra persona, escluso il re», come dirà a Rouen? Perché la sua liberazione avrebbe dovuto essere inclusa — come risulta dalla profezia di Poitiers — fra i grandi obiettivi strategici della missione affidatale da Dio? E perché, infine, in un momento in cui le sorti della guerra erano ancora incerte, la Pulzella avrebbe dovuto pensare a distogliere forze dall’armata reale per progettare (come effettivamente fece) un’arrischiata azione di ‘commando’ oltre la Manica, per tentare di liberare Carlo?
La tragedia sta per concludersi. Sottoposta a processo e travolta da una valanga di accuse (tra le quali figurano quelle di eresia e stregoneria), Giovanna d’Arco è condannata alla pena tradizionalmente prevista per le streghe: Il rogo. La Pulzella viene legata al palo del supplizio nella piazza del Mercato Vecchio di Rouen.
La Falsa Giovanna
Dopo il mistero della nascita, quello, non meno inquietante, della morte.
Nel 1436, cinque anni dopo il rogo di Rouen,fa la sua apparizione a Metz una donna che afferma di essere la Pulzella. È la Falsa Giovanna, o meglio la più famosa fra le cinque o sei donne che in quegli anni pretenderanno di essere l’eroina rediviva.
Il dubbio circa la morte di Giovanna sul rogo è connesso, ma non necessariamente, con le tesi ‘regaliste’. È chiaro che la messinscena — se c’è stata — è servita per salvare una principessa reale e non certo una pastorella. Ma la messinscena c’è stata davvero? Molti storici, anche di parte regalista, ne dubitano. Tuttavia a favore di questa ipotesi esistono alcuni elementi assai suggestivi.
La tesi della sopravvivenza ruota attorno alla figura di Cauchon. E per-la verità il processo di Rouen si presta anche a una chiave di lettura del tutto opposta a quella tradizionale.
Il momento dell’esecuzione. I resti della poveretta saranno gettati nella Senna
Al conte-vescovo non poteva essere sfuggito che la cattura della Pulzella significava non solo la sconfitta del partito della guerra, ma anche il rilancio di trattative politiche che, nel giro di pochi anni, avrebbero condotto alla pace con il suo padrone più vicino, il duca di Borgogna, e a un drastico ridimensionamento della presenza inglese sul suolo di Francia. E Cauchon non era certo uomo da prestarsi a fare da sicario in un processo-farsa, che avrebbe potuto fargli addebitare più tardi l’assassinio di una principessa reale.
La statua equestre di Giovanna a Orléans. La Pulzella viene riabilitata nel 1456, beatificata nel 1909 e proclamata santa nel 1920.
Se si accetta per buona questa premessa, resta solo da stabilire se Cauchon agiva in proprio o per conto di terzi. Indagine assai complessa. Il mandante avrebbe infatti potuto essere Carlo VII, oppure il duca di Borgogna (che, subito dopo la cattura, aveva avuto un lungo colloquio con Giovanna), o la moglie del duca di Bedford (anche lei terziaria francescana). E perché non Warwick per conto della regina Caterina, madre di Enrico VI di Lancaster e sorellastra della Pulzella? In una situazione dinastica e politica cosi intricata non c’è che l’imbarazzo della scelta.
Certo è che il processo di Rouen si svolge in modo strano. Cauchon è un giurista e un teologo di vaglia, eppure accumula errori su errori, di fatto, di diritto e di fede, come se volesse porre le premesse di una revisione. Non basta: la sua preoccupazione principale sembra essere impedire che la Pulzella venga consegnata alla Sorbona, vale a dire ai domenicani, capaci di giungere a qualsiasi estremo per furor teologicus. Con sottile abilità, insomma, Cauchon avrebbe ‘guidato’ il processo. Il disordine e le divazioni negli interrogatori sarebbero stati il risultato della sua abilità manovriera; le invettive di Benedicite, puro spettacolo per la platea; la cella fetida con le catene fissate a un ceppo, semplice accorgimento scenico; lo spione Loiseleur, un agente di collegamento; e la missione di Nicolas Midi a Parigi, fumo negli occhi per tenere tranquilli i dottori della Sorbona.
Secondo questa ipotesi, l’abiura sarebbe stata la scena madre dell’ultimo atto, prima del gran finale. Giovanna, invitata a pentirsi, accetta di abiurare. Firma con un cerchio, affermando di
non saper tracciare il proprio nome (e non è vero), poi ride. L’episodio è confermato da testimoni oculari, Perché ride Giovanna? È una
reazione isterica, oppure la messinscena solletica il suo senso dell’umorismo? Poi, il rogo. Chi è la donna che brucia sulla piazza del Mercato Vecchio? Forse una delle cinque streghe che figurano arse vive fra il 1430 e il 1432 secondo i registri di Rouen (e Giovanna, guarda caso, non è compresa nell’elenco).E questa strega senza nome che sale sulla carretta, il viso nascosto dal cappuccio e poi dal berretto d’asino. È lei, che attorniata da oltre cento armigeri che tengono la folla a rispettosa distanza, finisce sul rogo.
Nel frattempo Giovanna, già pronta per il viaggio (ecco spiegato il ritorno agli abiti maschili), sta lasciando il castello attraverso un passaggio segreto.
Il 20 maggio 1436 appare la Falsa Giovanna. Si presenta con il nome di Claude, veste da donna ed è certo molto somigliante alla Pulzella. Scampata al rogo, avrebbe trascorso i cinque anni della sua assenza prima in un castello del duca di Savoia, poi nel convento delle Clarisse e Besanon, votato al culto di San Claudio (di qui il nome assunto). A Metz, nel 1436, la Falsa Giovanna viene raggiunta dai due fratelli minori Jean e Pierre d’Arc du Lys, che la riconoscono pubblicamente e si mettono al suo servizio. La donna, che adesso si fa chiamare nuovamente Jeanne, con il cognome du Lys (ma non d’Arc), si trasferisce ad Arlon, presso Elizabeth di Goerlitz-Luxembourg, ex fidanzata di Carlo di Orléans (ancora prigioniero), poi sposa di un fratello del duca di Borgogna. Presso questa zia d’acquisto Giovanna si ferma sino all’autunno, quando prende come marito un nobile lorenese, Robert des Armoises. La riapparizione di Giovanna (che avviene subito dopo la stipulazione della pace fra Carlo VII e il duca di Borgogna) viene messa in rapporto a due missioni che le sarebbero state affidate dall’Ordine francescano: la riconquista degli ultimi capisaldi inglesi in Normandia e l’organizzazione di una spedizione marittima al di là dell’oceano.
Per la prima impresa, la ‘dame des Armoises’, si reca presso Gilles de Rais, nel castello di Tiffauges, dove i due vecchi compagni d’arme mettono a punto i piani per la riconquista di Le Mans.
Per la seconda missione (affidatale sulla base di alcune antichissime carte conservate negli archivi dell’Ordine che dimostrerebbero l’esistenza di un vasto continente a mezza strada fra l’Europa e l’Asia) Giovanna si serve come ambasciatore presso il re di Spagna del suo antico ‘scudiero’, Jean d’Aulon. Il re di Spagna accetta di fornire le navi, ma la spedizione non si concretizza: ci vorrà ancora mezzo secolo prima che l’Ordine riprenda il progetto, affidandolo al terziario Cristoforo Colombo. Storia ignorata o fanta-storia?
Nel 1439, infine, la ‘dame des Armoises’ si reca a Orléans dove è accolta dall’entusiasmo popolare, ed è in questa città che il 4 settembre si incontra di nuovo con il suo re, Carlo VII. Le parole del sovrano sono ricordate da un testimone: «Pulzella, amica mia, siate la benvenuta per il vostro ritorno, in nome di Dio, che conosce il nostro segreto». E GiovannaClaude, riferiscono ancora le cronache, si getta in ginocchio e chiede perdono per il suo ‘inganno’. Ma qual è l’inganno? Una mistificazione o una mancanza di parola (come l’essersi rifatta viva dopo aver giurato di scomparire per sempre)? La sola cosa storicamente sicura è che la Falsa Giovanna non viene punita, né molestata. Rimane a Orléans ancora qualche mese, circondata dalla venerazione generale, poi si ritira nel castello di suo marito a Jaulny dove muore nel 1449, senza discendenza. Il suo corpo è sepolto presso l’altare maggiore della chiesa di Pulligny sotto una lapide che reca il simbolo della croce francescana.
E a questo punto — e, guarda caso, solo a questo punto — che Carlo VII decide di dare l’avvio al processo di riabilitazione della Pulzella, che viene adesso per la prima volta chiamata — e resterà per sempre — Giovanna d’Arco. L’obiettivo, chiaramente, è quello di chiudere un caso imbarazzante per tutti: per Carlo, che risulta ‘unto’ grazie all’intervento di una strega condannata dall’Inquisizione; per gli inglesi, che hanno abbandonato le loro pretese sul regno di Francia e vorrebbero lavarsi dalla macchia di Rouen; e per la Chiesa, che si sente a disagio per la sua responsabilità in un processo tanto discutibile. Occorre mettere una pietra su un episodio increscioso: quale pietra migliore della leggenda di un’umile pastorella ispirata da Dio?
Al processo di riabilitazione vengono ascoltati 137 testimoni e tutti, a una voce, avallano la pia leggenda, o adducono sospetti vuoti di memoria. Solo il duca di Alenon, il ‘beau duc’, parla — sembra — fuori dai denti e senza peli sulla lingua; ma poche settimane dopo verrà allontanato dalla Corte e la sua deposizione sarà censurata.
L’epigrafe migliore alla storia di Giovanna, detta la Pulzella, è racchiusa nell’esordio di maitre Guillaume Prevostaeu, avvocato della famiglia d’Ac, all’udienza di apertura del processo di riabilitazione, nella cattedrale di Notre-Dame il 7 novembre 1455: «Mentire è vietato, ma celare la verità è permesso, a tempo e luogo opportuni, grazie a elaborazioni e circonlocuzioni».
Rouen: la piazza del Mercato Vecchio, dove Giovanna fu arsa viva, ai nostri giorni. Alcuni storici negano che la Pulzella sia finita sul rogo; il suo posto sarebbe stato preso da un ‘altra ‘strega’.
La sentenza di riabilitazione
«Noi giudici, assisi nel nostro tribunale, con Dio come unico testimone, con questa sentenza definitiva qui solennemente sosteniamo e formuliamo, diciamo, pronunciamo,decretiamo che i suddetti processi e le suddette sentenze,con la suddetta abiura, per il modo in cui sono stati condotti e per tutto quello che è sono manifestamente inficiati di dolo, calunnia,iniquità, incongruenza, errori di diritto e di fatto. Dichiariamo che sono stati e nulli, come non avvenuti, senza valore e senza effetto. Pertanto, perché è necessano che così sia, e perché la ragione lo comanda, noi li cassiamo, annulliamo, annientiamo e svuotiamo completamente di forza.Dichiariamo che la suddetta Giovanna e i suoi parenti non hanno contratto né sono incorsi in alcuna nota o macchia di infamia, in occasione dei suddetti processi; li dichiariamo per il presente e il futuro liberi e mondi di tutte le conseguenze dei suddetti processi, purificandoli completamente per quanto può essere necessario. Ordiniamo che la solenne citazione e l’esecuzione della nostra sentenza avvenga in due luoghi di questa città. Oggi, sulla piazza di Saint-Ouen dopo una processione generale; e domani al Mercato Vecchio, nello stesso punto in cui la suddetta Giovanna fu crudelmente e orribilmente soffocata ed arsa dalle fiamme del rogo».
Rouen, 7 luglio 1456